Qual è il rapporto tra mente e cervello? Il MondayMeeting diventa lezione di neuroscienze

Durante il MondayMeeting, un momento di condivisione che svolgiamo ogni due lunedì in AzzurroDigitale, ognuno ha l’opportunità di presentare un argomento a piacere con l’obiettivo di elevare non solo professionalmente, ma anche umanamente tutti i membri del team.

Ognuno è incoraggiato a esprimere se stesso: il tema della pillola non deve essere necessariamente legato in modo diretto all’ambito in cui opera AzzurroDigitale. Per questo io, sviluppatore ma laureato in neuroscienze, ho deciso di affrontare un tema che sicuramente avrebbe destato curiosità tra chi non è del settore: il rapporto fra mente e cervello.

Ecco riassunti i punti chiave e le curiosità che ognuno di voi può portarsi a casa sull’argomento.

 

Due approcci scientifici sul rapporto mente-cervello

Il rapporto mente-cervello è stato oggetto di dibattito e studio fin dai tempi antichi. Esistono ad oggi due principali approcci alla questione:

  • Dualismo: mente e cervello sono separati e la mente non ha un substrato biologico;
  • Riduzionismo: la mente è il prodotto dei processi biologici del cervello.

Nel mio intervento abbiamo analizzato tre studi scientifici che sono stati fondamentali per lo sviluppo delle neuroscienze e la comprensione delle basi biologiche del pensiero.

 

  1. Il caso di Phineas Gage

Siamo nella metà del 1800, Phineas Gage, all’età di 30 anni circa, subì un grave incidente sul lavoro: una sbarra di ferro gli trapassò il cranio, causando un grave danno ad una zona nota come “corteccia orbitofrontale”. Gage sopravvisse, ma la sua personalità cambiò drasticamente: divenne privo di inibizioni, al punto da non controllare i suoi impulsi. Questo caso ci fece scoprire l’importante ruolo che ha la corteccia orbitofrontale nel modulare gli impulsi in relazione al contesto sociale e dei benefici a lungo termine, ovvero, la funzione che ci permette di riuscire a rinunciare ad un beneficio ora, perché sappiamo che a lungo termine ci conviene.

 

  1. Il neurochirurgo che curava l’epilessia asportando aree cerebrali

Attorno agli anni ’50, un noto neurochirurgo di nome Penfield si occupava di curare pazienti affetti da epilessia, asportando le aree cerebrali che ospitavano i “focolai epilettici”. Al fine di non rimuovere parti sane e critiche, durante l’operazione Penfield stimolava con elettrodi varie parti del cervello. Scoprì che durante la stimolazione i pazienti vivevano esperienze sensoriali che variavano in base alla zona stimolata. Questo ci permise di scoprire che la manipolazione dell’attività cerebrale evoca esperienze sensoriali.

 

  1. Abbiamo davvero la capacità di scegliere?

Abbiamo veramente il controllo sulle nostre azioni o eseguiamo comportamenti in modo meccanicistico? Lo studio noto come Libet’s clock chiedeva ai partecipanti di flettere il polso quando preferivano e di riportare il momento in cui l’avevano fatto in riferimento a un orologio. Degli elettrodi al polso fornivano il tempo in cui il polso veniva flesso e la loro attività elettrica cerebrale veniva registrata tramite elettroecenfalografia.

Il risultato fu sorprendente: la presa di decisione di flettere il polso veniva anticipata da un’attività cerebrale che pianificava l’azione. Il cervello si stava preparando a flettere il polso prima che il partecipante fosse consapevole della sua intenzione di farlo

Ma non vi preoccupate: lo studio di Libet è stato oggetto di critiche: è stato replicato una volta soltanto e con grande variabilità individuale.  E’ quindi un punto di partenza, non di arrivo della conoscenza dei nostri processi mentali.

Ciò di cui possiamo star certi, è che per comprendere il vero funzionamento di una cosa così complessa e affascinante come mente umana c’è ancora davvero tanta strada da fare!

 

Francesco Bellini
Front end Developer

 

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