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ToggleArticolo di Nicola Boscaro – Full-stack Developer in AzzurroDigitale
Scopriamo come MVC e DDD, due modelli di progettazione diversi, perseguono entrambi l’obiettivo di creare applicazioni web solide e scalabili, adattandosi a esigenze e complessità diverse.
MVC (Model-View-Controller) e DDD (Domain-Driven Design) sono due approcci di progettazione software che aiutano le aziende a costruire applicazioni web solide. La differenza principale è nel modo in cui affrontano la complessità: MVC semplifica la gestione dell’interfaccia utente e della logica, mentre DDD mette il focus sui processi aziendali e la loro rappresentazione digitale.
Quando usare MVC
MVC è particolarmente adatto allo sviluppo frontend, specie con framework come Angular. Grazie alla sua struttura modulare e chiaramente separata tra Model, View e Controller, MVC facilita la creazione di interfacce utente reattive, manutentibili e scalabili, accelerando lo sviluppo e migliorando la leggibilità del codice a livello UI.
Quando serve DDD
DDD si rivolge al backend, dove la complessità dei processi aziendali, tipica di settori come il manifatturiero, richiede una modellazione accurata del dominio e una chiara definizione di confini tra le parti del sistema (“bounded contexts“). DDD aiuta a tradurre le esigenze di business in codice coerente, migliorando cooperazione tra sviluppatori e esperti di dominio, e facilita la trasformazione di sistemi monolitici in microservizi.
Microservizi: la svolta dei “grandi”
Se il progetto cresce o deve adattarsi (es. molte divisioni aziendali, espansione prodotto), DDD è (quasi) obbligatorio per arrivare ad architetture a microservizi. Ogni “servizio” può rappresentare un pezzo di business, essere adattato/scalato separatamente e parlare con altri servizi.
How It Works: Semplificare la complessità
MVC in breve
Immagina un’app come una fabbrica: MVC la divide in tre reparti:
- Model: i macchinari e i dati (gestione informazioni)
- View: quello che il cliente vede (interfaccia)
- Controller: chi dirige la fabbrica (gestisce le operazioni tra Model e View)
Così ogni modifica a una parte non impatta tutto il resto.

MVC
DDD in breve
DDD invece costruisce il software attorno a quello che fa l’azienda. Un esempio nel manifatturiero: se la produzione è il cuore del business, DDD aiuta a rappresentarla nel software con la logica che serve davvero, mantenendo separati i diversi processi (“bounded contexts”).

DDD
Per chi si avvicina ai microservizi
Quando un progetto deve evolversi in microservizi, DDD aiuta a “tagliare il sistema a fette”, assegnando a ogni forte servizio un preciso “contesto” e logica di business, mentre MVC aiuta a strutturare l’interfaccia di ciascun servizio.
Deep Tech per gli addetti ai lavori
Pro e contro di MVC
- Separazione dei compiti: con Angular e altri framework moderni, il pattern MVC permette di suddividere chiaramente la presentazione, la logica e le fonti dati. Questo facilita la testabilità e la manutenibilità, velocizza lo sviluppo di nuove funzionalità e consente a team numerosi di lavorare in parallelo senza generare conflitti.
- Facile onboarding: la struttura familiare del pattern accelera l’inserimento di nuovi sviluppatori, i quali possono subito individuare dove intervenire all’interno dei moduli UI o servizi.
- Limiti: in progetti ad alta complessità logica, MVC rischia di diventare pesante. Applicare il pattern in contesti dove la logica di business è intricata può portare a “overengineering” della UI e all’aumento di codice ridondante.
Esempio pratico: Immagina una pagina di dettaglio di un backoffice complesso, in cui sono presenti diverse schede (tab), ognuna con informazioni distinte e logiche di interazione differenti. Grazie all’architettura MVC, ogni parte dell’interfaccia è gestita da componenti indipendenti, che possono evolvere, essere testati e mantenuti separatamente.
In questo contesto:
- Il componente principale controlla la navigazione tra i vari tab: monitora quale scheda è attiva e gestisce il passaggio fluido tra le schermate, mantenendo lo stato di navigazione coerente.
- Per ogni tab, esiste un componente dedicato che si occupa delle logiche specifiche, come il salvataggio dei dati, la validazione dei form, e l’emissione di eventi (emitter) per comunicare cambiamenti verso il componente principale o altri componenti interessati.

Questa separazione non solo rende il codice più modulare e riutilizzabile, ma migliora anche l’esperienza di sviluppo permettendo di isolare e gestire con precisione la complessità, riducendo al minimo gli effetti collaterali tra le diverse funzionalità.
Pro e contro di DDD
- Perfetto per sistemi complessi: il Domain-Driven Design consente di modellare processi e regole di business in modo che le astrazioni software rispecchino realmente il dominio aziendale. Non è solo una tecnica, ma un modo di pensare e una serie di priorità progettuali pensate per accelerare lo sviluppo in contesti caratterizzati da elevata complessità [1].
- Gestione dell’evoluzione e scalabilità: DDD invita a progettare parti del sistema in modo da riflettere il modello di dominio in maniera chiara e diretta, così che la corrispondenza tra codice e concetti reali risulti immediata. Strumenti come bounded context, aggregate e repository aiutano a separare responsabilità, regole e servizi, facilitando in modo naturale un’eventuale evoluzione verso architetture a microservizi.
- Limiti: questo approccio richiede una collaborazione costante con il business e tempi più estesi di analisi e progettazione. Inoltre, non porta benefici significativi quando la complessità del dominio è bassa o quando i requisiti cambiano molto rapidamente.
Esempio pratico: La realizzazione della logica backend per la gestione delle commesse in ambito manifatturiero: utilizzando DDD, i bounded context possono mappare processi come la creazione di un contratto per un cliente, e l’apertura di una commessa legata a quel contratto. Ogni contesto evolve in modo indipendente, riflettendo la realtà aziendale ed esponendo API dedicate per il frontend, che sfrutta invece MVC/Angular per visualizzare, ad esempio, una lista filtrata.

DDD In AzzurroDigitale
Nella nostra esperienza in AzzurroDigitale, benché inizialmente il Domain-Driven Design non fosse il modello architetturale predominante, negli ultimi anni abbiamo progressivamente abbracciato questa metodologia come pilastro per gestire la crescente complessità dei nostri progetti. Oggi, DDD rappresenta la nostra scelta preferita, soprattutto in contesti dove l’applicativo deve supportare più tenant, ognuno con esigenze specifiche, e dove la modularizzazione e scalabilità del prodotto sono requisiti imprescindibili.
Adottando DDD, siamo stati in grado di segmentare in modo efficace il codice in moduli altamente specializzati, ognuno responsabile di una porzione ben definita della logica di dominio, separando così nettamente la logica di business dal resto dell’applicazione. Questa chiara separazione ci ha permesso di delegare e isolare la complessità all’interno di moduli dedicati, facilitando la manutenibilità, l’evoluzione indipendente e la possibilità di estendere o personalizzare i singoli componenti senza impattare il sistema nel suo complesso.
Questa strategia si integra perfettamente con le esigenze di architetture a microservizi o modulare, dove ogni componente è autonomo e comunica con gli altri tramite interfacce ben definite, garantendo allo stesso tempo coesione interna e flessibilità complessiva. Come sottolinea Eric Evans nel suo “Domain-Driven Design: Tackling Complexity in the Heart of Software”, “Il cuore del software è la capacità di risolvere problemi correlati al dominio per l’utente”, e proprio questo cuore abbiamo voluto mettere al centro di ogni nostra soluzione, assicurandoci che il codice rifletta fedelmente le complessità reali del business e non si limiti a una semplice implementazione tecnica.
Bibliografia
[1]: Evans, E. (2003). Domain-driven design: Tackling complexity in the heart of software. Addison-Wesley Educational.