La Business Intelligence è morta?

Da anni ormai, quando si parla di Business Intelligence, si pensa a dashboard piene di grafici, KPI evidenziati in rosso o verde, report che arrivano settimanalmente in formato PDF o...
Categoria: Data & AI

Da anni ormai, quando si parla di Business Intelligence, si pensa a dashboard piene di grafici, KPI evidenziati in rosso o verde, report che arrivano settimanalmente in formato PDF o Excel. Una disciplina solida, tecnica, spesso riservata a pochi specialisti in azienda. Ma oggi qualcosa sta cambiando radicalmente. Ed è lecito porsi una domanda provocatoria: la Business Intelligence è morta?

La risposta breve è no. Ma quella completa è molto più interessante. La BI tradizionale sta lasciando spazio a un nuovo paradigma, in cui l’intelligenza artificiale rivoluziona il modo in cui accediamo e interpretiamo i dati.

Addio dashboard, benvenuti chatbot

Fino a ieri, accedere ai dati aziendali significava rivolgersi a un data analyst, aspettare che costruisse una dashboard su misura, imparare a leggerla e a interpretarla. Un processo che poteva essere lungo, tecnico e poco inclusivo. Basti pensare che, secondo Forrester, solo circa il 20% dei professionisti non IT ha accesso diretto e autonomo a strumenti di BI avanzati (Forrester, 2024), limitando la diffusione del dato.

Oggi, invece, ci stiamo avvicinando a una realtà completamente diversa: una Business Intelligence conversazionale, accessibile via chatbot, in cui i dati rispondono direttamente alle domande che poniamo. “Qual è il margine del prodotto X negli ultimi tre mesi?” – e la risposta arriva in tempo reale, con un linguaggio naturale e un grafico a supporto, generato al momento. Niente interfacce complesse, niente filtri da configurare.

Questa è la Self-Service BI 2.0: democratica, istantanea, intuitiva. L’intelligenza artificiale conversazionale può accelerare significativamente il processo decisionale in settori chiave come il retail e la finanza, permettendo ai responsabili delle vendite di chiedere istantaneamente: “Quali sono stati i prodotti più redditizi nel sud Italia nel Q2, escludendo le promozioni?”.

L’intelligenza artificiale come nuovo intermediario del dato

Alla base di questa rivoluzione c’è l’AI generativa. In particolare, i Large Language Model (LLM) – come quelli che stanno alla base dei chatbot intelligenti – sono ora in grado di interrogare database, comprendere il contesto e costruire visualizzazioni dinamiche in base alla richiesta dell’utente.

Non è solo un cambio tecnologico: è una nuova modalità di interazione con il sapere aziendale, che si svincola dal vincolo tecnico per aprirsi a chiunque abbia una domanda da fare. Dall’operations manager che vuole sapere i colli di bottiglia produttivi della settimana, al CFO che cerca un confronto tra forecast e risultati reali: tutti possono dialogare con il dato, senza intermediari. Secondo Gartner, entro il 2026, si prevede che oltre l’80% delle aziende avrà utilizzato API o modelli di AI generativa o avrà implementato applicazioni abilitate all’AI generativa in ambienti di produzione, un balzo enorme rispetto a meno del 5% nel 2023, a testimonianza dell’accelerazione in atto (Gartner, 2023).

E il ruolo del data analyst?

Viene spontaneo chiederselo: che ne sarà del data analyst, se i dati si possono chiedere direttamente a un chatbot?

La risposta è chiara: il ruolo del data analyst non scompare, ma si evolve. Se prima il suo compito era costruire dashboard e modelli su richiesta, in futuro diventerà quello di abilitare un ecosistema dati pronto per l’AI. Serviranno competenze nuove: modellazione semantica (ovvero creare una rappresentazione del significato dei dati che sia comprensibile sia agli esseri umani che alle macchine), prompt engineering, cura della qualità del dato e integrazione con gli LLM. Il data analyst del futuro sarà sempre più un “orchestratore” di dati e AI, garantendo non solo l’accuratezza ma anche l’etica dell’AI, assicurandosi che le analisi non generino bias.

Le aziende sono pronte?

Se è vero che la Business Intelligence tradizionale è destinata a trasformarsi, è altrettanto vero che non tutte le aziende sono ancora pronte a fare questo salto. Le tecnologie esistono già, ma serve una strategia chiara per adottarle: mettere ordine nei dati, scegliere le soluzioni AI giuste, formare le persone e definire nuove policy di governance. Non basta la tecnologia, serve una profonda cultura del dato che valorizzi l’esplorazione autonoma e la sicurezza dei dati, cruciale in un contesto di maggiore accessibilità. L’integrazione con i sistemi legacy e la formazione diffusa dei dipendenti saranno sfide non banali.

Chi saprà farlo per tempo, avrà un vantaggio competitivo enorme: accesso più rapido al dato, migliori decisioni, maggiore autonomia nei team.

In conclusione: la BI non è morta. Sta rinascendo.

No, la Business Intelligence non è morta. Ma sta cambiando pelle. Sta uscendo dalla stanza dei tecnici per entrare nelle mani di chi, ogni giorno, prende decisioni. Sta abbandonando i suoi strumenti “rigidi” per diventare flessibile, conversazionale, naturale.

In questo nuovo scenario, imprenditori e manager devono attrezzarsi: non per abbandonare la BI, ma per abbracciarne una nuova versione, potenziata dall’AI. La sfida, oggi, è adattarsi. Per i data analyst, significa arricchire il proprio bagaglio con nuove competenze AI. Per le aziende, significa investire in tecnologie intelligenti, ma anche in cultura del dato, apertura al cambiamento e capacità di guidare l’innovazione.

La Business Intelligence non è morta. È appena entrata in una nuova era.

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